Passata è la tempesta:
Odo avvoltoi far festa, e la manfrina,
trovata un’altra via, ripete il suo verso.
Ecco il veleno.
Irrompe veemente e da alla stampa;
Avviasi di menzogne la campagna, e chiaro nella valle il fine appare.
Ogni ghigno si rallegra, in ogni lato
risorge il romorio
di chi spera ritornar al lavoro usato.
L’avvocato a mirar l’umido cielo,
con quotidiano in man, cantando,
Fassi in su l’uscio;
a prova
vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
della famosa scuola;
E l’editor rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Buon che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre segreterie e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di marpioni; il carro stride
Del condottier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tal livore
L’uomo à suoi studi intende?
O torna al Vermexio? O cosa nova imprende?
Quando dè mali suoi nessun si ricorda?
Scordar senz’affanno;
Gioia vana ha chi è frutto
Del passato timone, onde si scosse
E paventò la morte
Che la città percorse;
Onde in lungo settennato,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O signor cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai siracusani.
Uscir di scena
È difetto fra voi.
Perle tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per nostro miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno.
Umana Prole cara agli eletti!
Assai felice se commentar ti lice senza alcun pudor: se ogni altrui dolor sconfitta tua risana.
– Iacomo Geopardi